Fondata su lenti plenottiche in grado di riprodurre la visione tridimensionale dell’occhio umano, la ‘Fotografia 3.0’ è una rivoluzione tecnologica che transiterà la ‘società dell’immagine’ in territori imprevedibili e modificherà profondamente il modo di intendere ed utilizzare la fotografia e la comunicazione.

Anche se si sta presentando al grande pubblico con le fattezze della Lytro di Ren Ng, la fotografia plenottica ha una storia più antica che non va confusa con stereofotografia, intergrammi, tecniche di rendering ed altre tecnologie che generano viste tridimensionali con assemblaggi più o meno sofisticati e più o meno digitali di n immagini a due dimensioni.

La fotografia a ‘campi di luce’ non è lo sviluppo di precedenti esperienze ma nasce già orientata a riprodurre la funzione plenottica dell’occhio umano. E ci riesce oggi grazie all’evoluzione dei sensori digitali e delle unità di calcolo.

I primi studi sulle lenti plenottiche ed il loro utilizzo in fotografia iniziarono negli Anni ’80 al Massachusetts Institute of Technology e qualche anno più tardi alla Stanford University.
In entrambi i casi furono realizzati dei prototipi: nel 1992 al MIT e nel 2005 alla Stanford ad opera proprio di Ren Ng che vi era studente.

Dal MIT venne fuori un’apparecchiatura enorme, intrasportabile, che abbisognava di un supercomputer per digitalizzare le informazioni immagazzinate nel sensore.
Una pietra miliare sul piano scientifico ma di nessun possibile utilizzo pratico.

La ‘plenoptic camera’ della Stanford fu sviluppata da Ren Ng – all’epoca studente – su un corpo Contax 645. La logica era sostanzialmente la stessa seguita al MIT: microlenti che convogliano su di un sensore i fasci di luce secondo la loro direzione. La fotocamera aveva un aspetto più ‘fotografico’ ma era comunque bisognevole di unità di calcolo esterne e molto potenti.

Due apparecchi da laboratorio di ricerca, per il momento lontani da qualsiasi utilizzo pratico, anche se di lì a breve ci sarebbe stata una forte e decisiva accelerazione In quegli stessi anni anche Adobe si era impegnata nella ricerca sulle lenti plenottiche e, nel 2007, presentò al pubblico un obiettivo che attraverso una struttura a microlenti inviava al sensore informazioni su intensità, valori cromatici e direzione della luce producendo immagini tridimensionali e multifocali. Questo obiettivo avrebbe dovuto inaugurare l’era di una ‘Computational Photography’ che non decollò per le stesse ragioni dei predecessori: dimensioni, unità di calcolo esterna, complessità della digitalizzazione e relativo costo.

La prima Light Field Camera a misura ‘umana’ ed effettivamente commercializzabile fu prodotta un anno dopo dall’azienda tedesca Raytrix: la R11 tutt’ora in catalogo.

Anche la R11 utilizza un’architettura di microlenti che inviano ad un sensore le informazioni sulla direzione della luce; produce immagini tridimensionali, è multifocus ma, a differenza delle pioniere, dispone di una unità di calcolo ‘ bordo’ e la post-produzione può avvenire direttamente sulla fotocamera.

Benchè sia sul mercato oramai da tre anni, la R11 non ha mai raggiunto il grande pubblico a causa dei prezzi molto elevati nè Raytrix ha mai avuto interesse a diffondere la tecnologia al di fuori della ristretta nicchia del mondo scientifico alla quale si rivolge.

In questo contesto, la Lytro di Ren Ng potrebbe essere una rivoluzione nella rivoluzione. Più economica di un iPhone 3, 200 grammi peso, quattro centimetri per quattro per dodici di dimensione. Dentro alcune lenti, un sensore ed un processore che ne elabora i risultati, fuori due pulsanti ed una superficie touch per lo zoom.

E’ tutto: niente obiettivi, diaframmi, ghiere di regolazione, otturatori, specchi basculanti, pentaprismi, autofocus, batterie da sostituire.
Fatta su misura per il vasto mondo consumer completamente a digiuno di fotografia che dovrebbe accogliere con molto favore l’opportunità di ottenere con un click immagini tridimensionali e multifocus sino ad ieri impensabili.

Inizialmente la Lytro è una Light Field Camera di livello consumer ma, dato anche l’investimento economico che supporta il progetto, si immagina facilmente che il passo successivo sarà una fotocamera rivolta ad ambiti professionali anche diversi da quello della fotografia.

Ed altrettanto facilmente si può prevedere che questi due etti di alluminio manderanno sottosopra l’intero comparto industriale della fotografia digitale.
E non è da escludere che, nella sua evoluzione, questa tecnologia non solo soppianti la fotografia digitale ma si sostituisca alla fotografia stessa nel trattamento delle immagini, decretandone la fine. Staremo a vedere.