Il filtro anti-aliasing è una piccola lamina di materiale birifrangente, normalmente niobato di litio, che sdoppia in due parti il raggio di luce incidente sul sensore; vengono abitualmente utilizzate due lamine per sdoppiare il raggio in quattro parti, in due direzioni tra loro perpendicolari. L’immagine (fonte Zeiss) ben mostra il risultato di un filtro anti-aliasing.

Maggiore è lo spessore della lastra, più ampio è lo spostamento e di conseguenza più bassa è la frequenza spaziale di taglio, o in altre parole maggiore è la perdita di nitidezza.

Ma perché occorre perdere nitidezza, quando normalmente si cerca di aumentarla il più possibile, utilizzando per questo obiettivi sempre più sofisticati?

Il problema sta nel campionamento dell’immagine, ovvero la lettura per punti che viene fatta dal sensore CMOS. Esattamente come avviene in elettronica, se campioniamo un segnale che contiene frequenze elevate (superiori alla metà della frequenza di campionamento) abbiamo un’alta probabilità che si creino in maniera apparentemente casuale (alias) dei segnali a bassa frequenza inesistenti nel segnale originale.

Tradotto in termini fotografici, rischiamo di avere degli artefatti, ovvero dei dettagli inesistenti nel soggetto, che possono risultare estremamente fastidiosi, soprattutto se si differenziano cromaticamente dal resto dell’immagine, o se risultano ripetitivi (come l’effetto moiré).

Per evitare con certezza tutto questo non si può fare altro che abbassare la nitidezza del sistema ottico. Sarebbe bello poter ridurre il contrasto solo delle frequenze spaziali al di sopra della frequenza di Nyquist (1/2 della frequenza di campionamento), ma nella pratica ciò risulta impossibile e quindi usando un filtro anti-aliasing dobbiamo tollerare un peggioramento della nitidezza anche a frequenze più basse.

Un’altra soluzione è quella di aumentare molto la frequenza di campionamento, aumentando cioè il numero di pixel, tanto da superare il limite di risoluzione dell’obiettivo.  E’ quello che Nikon si propone con la D7100. E’ una strada sicuramente interessante, tuttavia allo stato attuale l’eliminazione del filtro anti-aliasing presenta ancora qualche rischio, specie utilizzando obiettivi di altissima qualità e soggetti particolarmente contrastati; dunque rimane una soluzione più adatta all’ambito amatoriale, dove normalmente vengono utilizzate ottiche con potere risolvente inferiore, e dove soprattutto l’insorgere di un artefatto non compromette l’utilizzo dell’immagine, come invece potrebbe succedere in ambito professionale.

Misuriamo il filtro anti-aliasing

Per quantificare il guadagno in trasferimento di contrasto ottenuto con l’eliminazione del filtro anti-aliasing abbiamo eseguito la misura MTF dei sensori della D7100 della D5200 utilizzando lo stesso obiettivo, con la stessa messa a fuoco ed in totale assenza di sharpening.

E’ possibile notare un trasferimento di contrasto leggermente superiore da parte della D7100, com’è logico aspettarsi per l’assenza del filtro anti-aliasing. Si tratta però di una differenza molto piccola e comunque anche per questa fotocamera l’MTF tende ad andare molto vicino allo zero, alla metà della frequenza di campionamento (2000 linee); ciò significa che il rischio di aliasing sulla D7100 è molto contenuto, in quanto l’obiettivo utilizzato funge esso stesso da filtro anti-aliasing. 

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